Stamattina, complice un post del solito “hater all’itagliana” di quelli che hanno per sport quotidiano la lamentela stile “ma io non ho speranze, lo stato dovrebbe salvarmi, tutto quello che dici sono caxxate”, mi è venuta in mente una delle mie storie (VERE) preferita.
Nella lontana Cina del 140 a.C. c’era un problemaccio.
Uno di quelli veramente grossi, non una cosa qualsiasi: ogni volta che pioveva, andavano tutti sott’acqua, letteralmente.
Durante il regno dell’Imperatore Yao infatti, la Cina fu colpita da anni di piogge eccessive che provocarono morti e danni ingenti all’agricoltura (ci si riferisce a questo periodo come al Diluvio Universale cinese).
Era necessario dunque provvedere alla bonifica delle zone allagate ed allestire un sistema di dighe e bacini per il controllo del fluire delle acque. L’allora Imperatore Yao, nel tentativo di regolare le piene, incaricò un tale, Gun di risolvere il problema.
Gun pensò: devo controllare il fiume Giallo! Se alzo gli argini, il fiume Giallo non potrà uscire!
Ma, come la vita molto bene insegna in generale, se una cosa può peggiorare, lo farà.
E in effetti, nonostante più di nove anni impiegati per rinforzare gli argini e predisporre dighe e bacini di raccolta per le acque in eccesso, il fiume Giallo riusciva ad essere sempre più forte ed esondava, con ulteriore morte e distruzione.
Le dighe cedettero e molte persone morirono e così il vecchio Gun fu rimosso dal suo incarico e condannato all’esilio dal successivo governante Shun.
Nel frattempo, il figlio Yu, divenuto adulto, continuò a studiare il flusso delle acque ed il sistema dei fiumi e canali per trovare una soluzione dove il padre aveva fallito. Scelto come successore di suo padre, Yu ottenne la collaborazione di Houji (esperto in problemi agricoli) cominciò a dragare nuovi canali fluviali come vie di deflusso, impiegando per questo lavoro tredici massacranti anni e quasi 20.000 operai.
L’idea che era germogliata nella testa di Yu (giustamente passato alla storia come Yu il grande) è che controllare l’altezza del fiume Giallo era sostanzialmente inutile ed inefficace. Forse era il caso di controllare quello che LUI poteva davvero controllare. Ovvero, il deflusso dell’acqua.
E così, non solo provvide al deflusso delle acque in eccesso ma fece scavare canali di irrigazione per convogliare l’acqua necessaria nei campi, aggiungendo addirittura delle predisposizioni per delle macine per il grano, che avrebbero funzionato con il defluire dell’acqua.
Yu si applicò all’impresa con tutte le sue energie, fino a dare il buon esempio agli operai lavorando al loro fianco nel drenaggio dei fiumi e mangiando e dormendo con loro. Il risultato fu non solo il controllo delle piene ma anche una migliore disponibilità di acqua per l’agricoltura che assicurò un periodo di prosperità a tutta la Cina.
Il sistema costruito da Yu è ricordato nella storia della Cina come il Controllo delle acque del grande Yu.
Morale della faccenda (secondo me)
Dalla notte dei tempi ad oggi ci sono solo due mezzi sicuri per liberarsi da qualunque problema:
Partire dal presupposto che, anche se non la vedi, una soluzione esiste. Impossibile è semplicemente una parola che non contempli nel tuo vocabolario (grazie papà per questa grandiosa lezione di vita).
Inutile intestardirsi a voler cambiare il mondo “là fuori”. Semplicemente non è controllabile. Prima o poi ci sarà sempre uno più furbo di te, più raccomandato di te, più bravo di te, più bello di te che ti soffierà il posto. Prima o poi ci sarà un intoppo, un incidente, uno sgambetto che ti taglierà la strada. Non puoi intercettare queste cose prima che succedano e “cancellarle” con un colpo di bacchetta magica. MA puoi salvarti la pelle se hai un Sistema che ti permette di GESTIRE quello che ti arriva.
Ora, ad essere molto sincera come sempre, non ho la minima idea di come fare a gestire le cose veramente brutte che possono succedere nella vita. Tipo quando ti muore una persona cara, un bambino si ammala gravemente o vedi succedere un’ingiustizia umana nel sociale, dai bambini che muoiono di fame agli immigrati che si annegano nei barconi.
Su questo sono completamente spaesata, tuttora.
Ma c’è un settore in cui ho trovato il modo di non essere MAI più spaesata e di avere lo stesso grado di tranquillità che il sistema di Controllo delle Acque di Yu il grande ha dato ai cinesi.
E’ il settore del lavoro. Qui sì che puoi – e dovresti – avere tu la situazione in mano e fare la stessa cosa di Yu: impostare una capillare rete per far defluire qualunque evento imprevisto e trasformarlo in una risorsa preziosa, esattamente come le macine per il grano che permisero alla Cina di Yu di rinascere ancora più grande e forte, NONOSTANTE il dispettoso fiume Giallo.
Come si fa?
Ho scritto un libro, anzi due per raccontare quello che ho scoperto. Tutto comincia da qui:
Ogni giorno la vita ci chiama, in più modi diversi, a dire la nostra, a prendere posizione, a fare scelte.
Sono milioni i bivi di fronte a cui ci troviamo ogni giorno ed è di fronte ad ognuno di questi che, sulla base di ciò a cui decidiamo di dare la vittoria, costruiamo il nostro futuro.
Personalmente penso che non esista nessuna risposta giusta o sbagliata in assoluto.
Un pò come spiegava quella deliziosa storiella zen su “Fortuna, sfortuna? Chi può dirlo?”.
Molti anni fa, in un povero villaggio cinese, viveva un agricoltore con suo figlio. Suo unico bene materiale, a parte la terra e la piccola casa di paglia, era un cavallo che aveva ereditato da suo padre. Un giorno, il cavallo scappò lasciando l’uomo senza animali che potessero lavorare la terra. I suoi vicini – che lo rispettavano molto per la sua onestà e diligenza – accorsero a casa sua per dirgli che erano dispiaciuti per quanto era successo. Lui li ringraziò per la visita, ma domandò: “Come fate a sapere se ciò che mi è successo è una disgrazia per me?”
Qualcuno commentò a bassa voce con l’amico: “Non vuole accettare la realtà, lasciamo che pensi quel che vuole, così non si affliggerà per l’avvenuto.” Ed i vicini andarono via, fingendo d’essere d’accordo con ciò che avevano sentito.
Una settimana dopo, il cavallo ritornò alla stalla, ma non era solo: era accompagnato da una bella giumenta. Al sapere questo, gli abitanti del villaggio – contenti, perché solo ora avevano capito la risposta che l’uomo aveva dato loro – tornarono a casa dell’agricoltore, congratulandosi per la buona sorte. “Prima avevi solo un cavallo, ed ora ne hai due. Auguri!”, dissero. “Grazie mille per la visita e per la vostra solidarietà”, rispose l’agricoltore.
“Ma come fate a sapere che l’accaduto è una benedizione per me?” Sconcertati, e pensando che l’uomo stesse impazzendo, i vicini se ne andarono, commentando per strada “possibile che quest’uomo non capisca che Dio gli ha inviato un dono?”
Passato un mese, il figlio dell’agricoltore, decise di addomesticare la giumenta. Ma l’animale saltò in modo imprevisto, ed il ragazzo, cadendo in malo modo, si ruppe una gamba.
I vicini tornarono a casa dell’agricoltore, portando doni per il giovane ferito. Il sindaco del villaggio, solennemente, presentò le condoglianze al padre, dicendo che tutti erano molto dispiaciuti per l’accaduto.
L’uomo ringraziò per la visita e l’affetto di tutti. Ma domandò: “Come potete sapere se l’accaduto è una disgrazia per me?”
Questa frase lasciò tutti stupefatti, perché nessuno potrebbe avere il minimo dubbio di come un incidente ad un figlio possa essere una tragedia. Uscirono della casa dell’agricoltore, commentando fra sé: “È davvero impazzito; il suo unico figlio può rimanere zoppo per sempre ed ha ancora dubbi che l’accaduto possa davvero essere una disgrazia.”
Trascorsero alcuni mesi ed il Giappone dichiarò guerra alla Cina. Gli emissari dell’imperatore attraversarono tutto il paese alla ricerca di giovani in buona salute da inviare al fronte in battaglia. Arrivarono al villaggio e reclutarono tutti i giovani, eccetto il figlio dell’agricoltore che aveva la gamba rotta.
Nessuno dei ragazzi ritornò vivo. Il figlio guarì, i due animali fecero puledri che furono venduti dando una buona resa in denaro.
Perciò potremmo stare a discutere per anni sul fatto di “qual è la posizione giusta”. Il punto che voglio sottolineare invece, è un altro: di fronte alle scelte che la vita ti propone, voti o ti astieni?
Non è uno scherzo. Purtroppo la maggior parte delle persone è abituata ad “astenersi”, a “lasciar andare”, abdicando al proprio potere, limitandosi a farsi trascinare dalla corrente.
Ma la felicità, in questo modo, è impossibile da trovare! Per essere felici è indispensabile essere saldamente a cavallo della propria vita. E’ indispensabile sapere cosa vuoi fare, dove vuoi andare e quanto sei disposto a metterti in gioco per arrivarci. Ogni mezza misura è fallimentare.
Impossibile essere felici senza “sporcarsi le mani” con la vita. Impossibile realizzarsi finchè si continua a nascondersi dietro una cortina di fumo travestita da sogno…”Eh, sì… io vorrei…. io farei… ma sai, il mondo, la crisi…”
E’ solo quando cominci a prendere fortemente in mano le redini della tua vita e scegli di rispondere in prima persona a tutto ciò che ti capita – magari anche sì, al referendum di turno – che allora puoi cominciare a pensare di vedere realizzati i tuoi sogni.
So che può essere difficile sentir tanto parlare di sogni ad un ingegnere.
E per lungo tempo me ne sono profondamente vergognata io stessa.
Fino a quando, invece, non ho capito che proprio nei sogni realizzati, nella propria autorealizzazione, c’è la chiave per il successo nel nuovo mondo di oggi, soprattutto in quello professionale e lavorativo.
Non mi credi?
Lo so, sembra quasi impossibile.
Anche per questo mi sono auto-lanciata una sfida apparentemente impossibile…
“Noi esseri umani siamo bellissimi, ma spesso, chissà perché, tendiamo a dimenticarcene.”
Non conoscevo Ezio Bosso fino a questa mattina, quando il mio feed di Facebook si è all’improvviso popolato di video tutti simili uno all’altro che rimandavano al Festival di Sanremo. Ho smesso da tempo di seguire Sanremo e stavo per ignorare bellamente anche questa serie di post, quando qualcosa della pianista che è rimasta in me ha vinto e mi ha fatto cliccare play su uno di questi video.
Mi sono commossa e ho pianto. Certo, sono una donna e come tale sono di commozione facile. Ma in questo caso ci stava tutta: ho studiato pianoforte per 20 anni e so cosa significa studiare e allenarsi ore e ore, cercando di far andare insieme due mani, due piedi, più testa e cuore e convincerli a far uscire qualcosa che non sia un’accozzaglia di suoni fastidiosi!
Vedere dunque quest’uomo passare dalla fatica di mettere insieme le parole, al trasfigurarsi e riuscire a suonare un pezzo con maestria e cuore, mi ha veramente emozionata.
Mi ha emozionata e, ancora una volta, mi ha ricordato quanto piccole sono le scuse che troppo speso ci raccontiamo sul perchè non stiamo riuscendo a realizzare i nostri sogni!
Come mio solito, ho subito cercato di scoprire di più della storia di quest’uomo e quello che ho trovato mi ha fatto ancora di più venire i brividi.
Perchè la disabilità di Ezio Bosso non è solo una questione congenita, il che già sarebbe stato difficile da accettare ed integrare, ma è stata peggiorata da una malattia avuta in età tutto sommato recente.
Su un vecchio articolo di La Stampa, si legge: “Nel 2011 Bosso ha subito un intervento al cervello che – parole sue – l’ha costretto ad affrontare una «storia di buio». E la malattia si è aggiunta a una sindrome autoimmune che lo costringe a camminare con l’aiuto di un bastone. Lentamente, con grandi sofferenze e molte gioie, grazie agli amici e alla maturità («Se tutto questo fosse accaduto dieci anni fa, probabilmente non sarei qui a raccontarlo», dice lui), ha riconquistato «la coordinazione tra corpo e mente necessaria per tornare al pianoforte».”
Il che, appunto, mi rende ancora più deferente e ammirata del coraggio di quest’uomo, che ha avuto la forza di rimettere insieme i suoi pezzi, senza darsi scuse e senza perdere tempo a lamentarsi.
Essere felici non è solo una ragionevole aspirazione dell’essere umano. Essere felici, consistentemente e per lungo tempo nella giornata dovrebbe essere in realtà la condizione normale in cui vivere.
Eppure, basta guardarci attorno una manciata di secondi per vedere come non ci sia niente di più lontano di questo: la felicità, quando va bene, è questione di momenti, di attimi veloci, di istanti che arrivano solo raramente, almeno rispetto l’ordinaria fatica che facciamo nelle nostre vite!
Crescendo vediamo che “così fan tutti” e finiamo per credere che non ci sia altra via se non questa.
“E’ normale così…, non puoi pensare di rimanere felice come un bambino anche quando cresci. Hai più impegni, più obblighi, più responsabilità, è normale che tu non possa vivere con la stessa leggerezza di un bambino piccolo”.
In realtà, E’ COMUNE essere infelici, ma non è affatto NORMALE. Normale significa “nella norma”, qualcosa cioè che rientra nel come le cose sono. Ma se guardiamo davvero al come le cose sono, la normalità per l’essere umano è una condizione costante di energia, gioia, entusiasmo, coinvolgimento e passione!
Non ci credi? Guarda allora un bambino prima che venga piegato del tutto dalla scolarizzazione, prima che gli venga insegnato di tutto fuorchè dell’importanza di imparare ad essere felici…
Nessun bambino, lasciato libero di giocare, di esprimersi, di manifestarsi, che sia avvolto da cure amorevoli ma non pressanti, passa l’80, forse il 90% del suo tempo in una condizione che sia meno che PURA FELICITA’. Una felicità, cioè, senza condizioni, senza limiti, senza preoccupazioni. Una felicità fatta di istanti di gioia, coinvolgimento, entusiasmo e passione, infilati uno dietro l’altro.
Ho la fortuna di vivere con una piccola bimba da quasi quattro anni ormai e da quasi quattro anni osservo lo scorrere delle sue giornate che sono fatte esattamente di tutto questo: passa da un gioco ad un altro, da una curiosità alla successiva, da un entusiasmo ad un’idea, senza mai smettere di saltellare e correre tutto il tempo, da quando si alza a quando va a letto (naturalmente di controvoglia perché, se fosse per lei, la giornata potrebbe tranquillamente andare avanti senza inutili soste passate a dormire!).
Ecco la VERA condizione NORMALE dell’essere umano.
Trasmettere l’importanza di essere felici
L’argomento educazione è vastissimo, soprattutto se preso nel modo poco convenzionale con cui l’ho preso io (scelta che non solo non rimpiango ma anzi benedico ogni giorno!), ma di fatto la realtà sotto gli occhi di ogni genitore è semplice: più un bambino è libero di esprimersi, meno è costretto in spazi angusti e obbligati (come, ahimè, di fatto è quasi ogni aula di scuola dalla prima elementare in avanti…) e più è continuativamente felice.
Poi arriva un momento in cui siamo portati, per consuetudine, comodità e mancanza di alternative, a prendere queste esplosioni di energia e vitalità, metterli davanti ad un banco e arrivare a vedere come la manna dal cielo l’idea di chi, capendo l’assurdità di tenere un 6-enne “fermo e zitto” in classe per ore, inventa i banchi-bicicletta… Se trasformare un banco di scuola in una bicicletta per bambini “iperattivi” risulta, numeri alla mano, una soluzione così efficace, non ci resta che constatare ancora una volta che la condizione di vita in cui pressochè ognuno di noi trascorre una buona parte della propria vita – i banchi di scuola – è quanto di più inumano e diseducativo possibile.
Non ho nulla contro la scuola, intendiamoci. La scuola fa quello che può e per cui è stata creata.
Quello che discuto è il fatto che tutto questo modo di procedere, essendo COMUNE, finisca per essere percepito come NORMALE, quando così non è!
Normale è vivere l’80, il 90% del proprio tempo in una condizione di gioia, felicità o quantomeno tranquilla serenità.
Comune è finire per credere che la felicità è fatta di attimi sfuggenti da rincorrere non si sa bene come.
Aspettando un mondo in cui ogni bambino potrà crescere libero, visto e ascoltato per quello che è davvero, senza finire nel tritacarne del sistema attuale, resta secondo me una sola cosa fondamentale di cui occuparsi: dare a chi bambino non è più, la possibilità di capire che:
La Felicità non è fatta di colpi di fortuna, nè di istanti, nè arriva perchè conquisti qualche particolare successo
La Felicità è una condizione che si crea con una serie di pensieri e azioni concreti, misurabili e alla portata di tutti
Il tempo durante il quale si riesce ad essere Felici non è in mano al caso ma alla nostra concreta applicazione del metodo giusto
Si può davvero imparare ad essere felici?
Per esperienza personale e dopo avero letto la gran parte di quello che esiste in giro in merito all’argomento, direi che la mia risposta è senz’altro: sì, si può “imparare” ad essere felici. E’ un muscolo che si può allenare.
C’è solo un problema. In tanti anni di studi e ricerche, non ho mai trovato niente che spiegasse, realmente, in concreto e con una sequenza precisa di passi – facili ma realmente funzionali – come fare.
La maggior parte di quello che esiste in questo campo è un insieme di istruzioni piuttosto olistiche – troppo spesso al limite del new age di bassa qualità – che risultano del tutto inefficaci nella vita di ognuno.
Però ho scoperto, sempre sulla mia pelle, che esiste uno dei tantissimi ambiti di cui è composta la vita – ovvero il LAVORO – che si presta molto bene ad essere modificato grazie ad una serie di istruzioni, strategie e strumenti fino al punto da diventare il lavoro praticamente “ideale”.
Cosa c’entra questo con la felicità?
Beh, se consideri che passiamo più di un terzo della nostra vita a lavorare (senza contare tutto il tempo in cui viaggiamo per lavoro, pensiamo al lavoro, ci stressiamo a casa per il lavoro, litighiamo per il lavoro ecc. ecc. ecc.), capisci bene che avere una vita professionale realizzante e soddisfacente – anzichè mortalmente frustrante – porta la bilancia della felicità in positivo in una grossa fetta della tua vita!
Colombia. Una bambina appena nata viene trovata abbandonata.
Edinora Jimenez, 59 anni, che ha trovato la bambina, racconta: “Stavo raccogliendo le arance quando ho sentito un pianto. Ho pensato che fosse un gatto fino a quando ho guardato più da vicino e ho visto che si trattava di una bambina”. Il comandante della polizia locale Javier Martin ha raccontato che la neonata aveva ancora parte del cordone ombelicale attaccato.
Un ufficiale della polizia colombiana e neomamma, Luisa Fernanda Urrea, viene inviata sul posto dell’abbandono per verificare la situazione e intervenire. La piccola, lasciata in una foresta, stava effettivamente morendo di fame ed era a rischio ipotermia. L’ambulanza tardava, la situazione era sempre più critica e Luisa non ha avuto un attimo di esitazione: si è alzata la maglietta e in attesa dell’arrivo dell’ambulanza ha allattato al seno la piccolina, salvandole la vita.
ha detto Luisa ai media che sono accorsi ad intervistarla. “Ho solo riconosciuto le esigenze di questa piccola creatura. Credo che qualunque donna lo avrebbe fatto nella stessa situazione”.
Io non so se qualunque donna davvero lo avrebbe fatto, lo spero con il cuore.
So però che questi semi di generosità, altruismo e amore incondizionato sono qualcosa di veramente prezioso. E so anche che, purtroppo, oggi molti di noi sono troppo preoccupati a combattere la propria quotidiana guerra contro le difficoltà per riuscire ad avere abbastanza energie da dedicare ad aiutare gli altri – oltre che se stessi e la propria famiglia.
Per anni mi sono chiesta come potevo a mia volta dare un contributo in qualche modo. E finalmente un giorno mi sono resa conto che c’era qualcosa che potevo fare. Qualcosa che derivava dalla mia esperienza personale e che poteva essere di aiuto a tante persone.
E così oggi l’obiettivo del mio lavoro è aumentare in modo scientifico il grado di speranza delle persone rispetto al tema LAVORO.
So che è fa strano sentire i concetti “più speranza” e “modo scientifico” assieme però è proprio il punto fondamentale di quello che mi motiva a fare quello che faccio.
Una volta se pensavo ai miei figli da grandi ero
terrorizzata. Pensavo che se non ero capace io di assicurarmi tranquillità
economica, come avrei fatto ad insegnare qualcosa a loro?
Oggi invece sono serena, non perché me la racconto o me la
voglio credere, ma perché ho la prova vivente sotto i miei occhi ogni giorno
che tutto questo funziona. Nel senso che Federico, il più grande, a 16 anni
oltre che andare brillantemente a scuola (perché sta facendo quello che piace a
LUI non quello che avrei pensato io che gli conveniva fare per trovarsi un
posto sicuro!) ha già ricevuto ben 4 offerte di lavoro in meno di 6 mesi,
semplicemente perché lui gioca a copiare quello che faccio io.
Quindi non solo il mio sistema permette a me di avere la
certezza di aver sempre da lavorare, ma sta già funzionando anche su di lui che
ha 16 anni. La piccola farà ancora meno fatica!
Poi, in mezzo a tutto questo, fra sorelle, cognati, amici di
sorelle, amici di amici di cognati eccetera si è sparsa la voce e ho cominciato
a spiegare il sistema anche a loro e loro a passare voce.
E a farla breve oggi il tutto è diventato un libro, un blog
e un percorso formativo che, risultati alla mano, aumenta la speranza nel
futuro non perché te la credi ma perché proprio impari a vedere più cose di
quelle che vedevi prima, aumenti le tue abilità.
E’ come dire che prima potevi andare a caccia solo di giorno
quando c’era la luce. Dopo hai dei potenti occhiali a infrarossi e puoi andare
a caccia anche di notte. Non è che le prede sono diventate di più, solo che tu
hai un campo di azione molto più ampio.
Oh intendiamoci, non sono favorevole alla caccia, è che non mi è ancora venuto in mente un esempio migliore ☺️