“Abbiamo 3 problemi. Si chiamano: colazione, pranzo e cena! “
T. Colin Campbell in The China Study
Ciò che mangiamo determina come stiamo. E soprattutto, come staremo. Eʼ un messaggio estremamente semplice e pur tuttavia estremamente importante. Quello lanciato dal dr. T. Colin Campbell nel The China Study, il bestseller che sta rivoluzionando il modo di intendere e di fare medicina in tutto il mondo, è un monito appassionante sia per chiarezza che per intenti.
“Il nostro corpo – dice Campbell in uno dei passaggi forse più significativi della sua ricerca – ha una naturale propensione alla guarigione. Eʼ indispensabile tuttavia imparare a lasciarlo lavorare e a non ostacolare il suo operato.”
Non è facile credere a quanto scritto da Campbell. E soprattutto,non è facile cambiare e pensare che ciò che hanno fatto i nostri nonni e i nostri bis nonni fosse sbagliato e così dannoso alla salute.
D’altronde sono sempre di più i molti i medici specialisti nazionali e internazionali che sostengono da anni l’esistenza di una connessione tra ciò che mangiamo e le diverse malattie che colpiscono il nostro secolo. Problemi cardiaci, diabete, ipertensione, cancro: sono solo alcune tra le principali patologie studiate negli ultimi decenni in connessione alle abitudini alimentari e all’assunzione eccessiva di alcuni alimenti.
I numeri purtroppo sono sconcertanti. Tra il 2000 e il 2001 è cresciuto del 33% il numero delle persone in Italia con il diabete. In dieci anni, dicono i dati Istat, si è passati da 2,250 milioni a circa 3 milioni, con un aumento dal 3,9% al 4, 9% tra il 2002 e il 2010.
Se si considera l’aumento della popolazione e il milione di persone che, secondo le stime ufficiali, hanno il diabete senza saperlo, la percentuale stimata tuttavia arriva al 6%. In particolare 3 milioni di italiani hanno il diabete di tipo 2 (il 4,9% della popolazione), un milione è colpito dalla malattia ma non lo sa (1,6%) e 2,6 milioni di persone hanno difficoltà a mantenere le glicemie nella norma: una condizione che nella maggior parte dei casi prelude allo sviluppo del diabete di tipo 2. A questi numeri devono essere aggiunte circa 300mila persone affette da diabete di tipo 1, forma autoimmune che esordisce generalmente nella prima parte della vita e che porta all’esaurimento della produzione di insulina.
Non molto diversi, purtroppo, i dati riguardanti le cardiopatie. Nel nostro paese le malattie cardiovascolari rappresentano uno dei più importanti problemi di sanità pubblica. Secondo i dati di mortalità più aggiornati forniti dall’Istat, che si riferiscono al 2009, le malattie del sistema cardiocircolatorio uccidono ogni anno più di 200 mila persone – più donne che uomini – e da sole contano il 31,54% del totale dei decessi. Per le malattie ischemiche del cuore (infarto del miocardio, altre forme acute e subacute di cardiopatia ischemica, infarto del miocardio pregresso, angina pectoris e altre forme di cardiopatia ischemica), nel 2006 l’istituto di statistica ha registrato quasi 75 mila decessi, equamente ripartiti tra uomini e donne, ovvero il 33,8% delle morti per malattie del sistema circolatorio.
Il rapporto del Ministero della Salute italiano mostra in realtà come le due principali cause di morte, sia tra gli uomini che tra le donne, siano oltre alle malattie del sistema circolatorio anche i tumori.
L’urgenza di questi dati dimostra come sia di fatto necessaria, anche nel nostro Paese, un’analisi più approfondita delle possibili cause di questa incidenza. Il tipo di alimentazione, e ovviamente lo stile di vita che ne consegue, acquistano in questo senso un’importanza fondamentale anche alla luce delle nuove ricerche in essere.
Di fronte a questo scenario tutto italiano non è più possibile far finta di niente e nascondersi dietro al detto “noi siamo diversi”. I dati sulla sanità americana, per quanto peggiori della nostra, dimostrano come il nostro Paese stia lentamente camminando verso una situazione sanitaria pesante.
C’è da chiedersi in tutto questo, quali armi abbiano realmente i medici per aiutare i loro pazienti.
E’ la prescrizione indiscriminata di medicine la soluzione migliorie alla prevenzione?
Dagli Stati Uniti il messaggio lanciato da alcuni tra i più noti specialisti come il Dr. Caldwell B. Esselstyn, il Dr. Doug Lisle, il Dr. Matt Lederman, il Dr. John McDougall, il Dr David Pimentel e il Dr. Bruce Monger è chiaro: l’alimentazione può assumere un ruolo fondamentale non solo nella prevenzione ma anche nella cura delle principali patologie che colpiscono il nostro secolo.
Ricerche recenti e altre recentissime dimostrano come il consumi di grassi animali e proteine animali abbiano una forte incidenza nell’insorgenza di tumori, cardiopatie, diabete e malattie reumatiche. Da anni, esperti del calibro del dr. Franco Berrino, dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, e del dr. Umberto Veronesi, con la sua Fondazione, insieme a molti altri medici specialisti sostengono come i pericoli legati ad una scorretta abitudine alimentare e quindi stile di vita siano troppo spesso ignorati o trascurati nella cura e nella prevenzione alle malattie.
Earthing è una cura miracolosa, antichissima, semplicissima, e naturale.
Il punto di vista di Earthing è che siamo sempre più malati, stanchi e soffriamo di infiammazioni croniche per un motivo ben preciso: non siamo connessi alla Terra e soffriamo una carenza di elettroni a causa di questo mancato collegamento. Possiamo ottenere una ricarica istantanea semplicemente mettendo i piedi nudi a contatto con la Terra.
Il pianeta Terra è un organismo vivente che ci rifornisce naturalmente di energia quando entriamo in contatto con esso.
Il nostro pianeta è un organismo vivente che ci ricarica naturalmente di energia quando ci mettiamo in contatto con esso, come ad esempio facendo una camminata a piedi scalzi sulla sabbia. Dopo numerosi studi, gli autori di questo testo, insolito e stimolante, sono arrivati a sostenere che si tratti di un vero e proprio campo energetico fisico alimentato continuamente dalle radiazioni solari.
Con le nostre suole isolanti, il catrame e il cemento su cui abitualmente camminiamo, abbiamo interrotto il circuito elettrico che ci ricarica costantemente. In pratica ci siamo disconnessi…
Abbiamo perso la consapevolezza delle nostre radici “elettroniche” (nel senso degli elettroni). Le nostre scarpe, con le suole isolanti impediscono al cirucuito elettrico di funzonare correttamente, siamo disconnessi. Dormire direttamente sul suolo (con cuscini o letti conduttivi) o camminare scalzi ci equilibra energicamente poiché gli elettroni liberi della superficie terrestre ci pervadono e ci sintonizzano agli stessi livelli di potenziale e carica energetica della Terra. Questo riequilibrio può causare una leggera sensazione di bruciore e ci procura numerosi benefici.
Questo volume racchiude ricerche, studi approfonditi e tutti gli interventi e cambiamenti più efficaci per riequilibrare il nostro organismo e ottenere potenti giovamenti per la nostra salute.
Un testo insolito, stimolante, interessante, con brani di narrazione diretta e parti saggistiche. I tre autori raccontano in prima persona e spiegano dai diversi punti di vista legati alla loro professione ed esperienza di vita come questi principi di disconnessione siano comprovati da una serie di dati scientifici ed esperienziali.
«La scoperta dell’Earthing, cioè delle proprietà terapeutiche della connessione con la terra, può essere considerata alla stessa stregua della scoperta della penicillina. Questo libro è probabilmente la più importante lettura in tema di salute del ventunesimo secolo».
Ann Louise Gittleman, nutrizionista
«La connessione con la terra ci ricongiunge alla Natura e la Natura è la fonte fondamentale di salute e guarigione. Questo libro è un manuale che racconta uno dei più grandi segreti di salute della Natura».
John Gray, autore di Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere
«Gli squilibri ormonali sono ormai estremamente diffusi nelle donne. La connessione con la terra ha un effetto profondamente benefico e aiuta a riequilibrare il sistema ormonale e a ridurre i sintomi».
Io mi trovo meravigliosamente con la Stuoia per la Messa a Terra che puoi usare tanto in ufficio quando sei davanti al pc che nel letto, per godere dei vantaggi dell’Earthing applicato durante la notte: Stuoia Ufficio
Ne esiste anche una versione più piccola, da poggia mano per il mouse: Stuoia Mouse
Wim Hof, l’Uomo del Ghiaccio, in una delle sue Performances
Wim Hof, meglio noto come “Iceman”, è un personaggio affascinante che desidero proporti oggi per la meravigliosa dimostrazione che da del reale potere della mente, quando realmente utilizzato sopra la “normale” trascurabile percentuale di utilizzo.
La specialità di Wim Hof è di affrontare prove che lo mettono a confronto con il freddo, ma freddo di quello tosto! Per intenderci, ha nuotato sotto il ghiaccio, è salito sul Monte Bianco indossando solo dei pantaloncini corti e si è anche chiuso per un’ora e mezza in una vasca riempita di ghiaccio, sommerso fino al collo.
Tutto è nato perchè, quando era piccolo ha rischiato di morire assiderato e da allora ha deciso che il freddo, sarebbe stato il suo migliore amico.
Per compiere i suoi personali “miracoli”, utilizza una tecnica imparata dai monaci tibetani che, in termini più neuroscientifici, gli permette con la mente, di bypassare quella parte del cervello che divide le nostre funzioni volontarie da quelle involontarie. Questo gli permette di controllare la temperatura della sua pelle, portandola a rimanere costante anche quando si trova in ambienti a diversi gradi sotto zero. L’energia per mantenersi “caldo”, sembra che la ottenga grazie allo sfruttamento del grasso bruno, il tutto solamente con l’uso della propria mente.
La cosa più incredibile di questa storia è che Wim utilizza risorse che, potenzialmente, ognuno di noi possiede, dimostrando coi fatti che, davvero, la nostra mente è in grado di fare molto più di quanto crediamo!
E la scienza cosa dice in merito? Stando a quanto dice Maria Hopman, del UMS St Radboud Nijmegen, ciò che ha visto fare a Wim sono… semplicemente “scientificamente impossibili”!
Come adoro queste evidenze, mi… scaldano il cuore 😀
Depressione postpartum: sintomi, cause e come esser d’aiuto
La depressione postpartum si riferisce agli episodi depressivi che si presentano dopo aver partorito. Possono presentarsi non solo dopo la nascita di un bambino, ma anche dopo un aborto spontaneo o l’interruzione di una gravidanza.
La gravità dei sintomi varia da caso a caso ma anche in funzione della durata del periodo “difficile” e del momento in cui compare.
Che differenza c’è tra baby blues, depressione postpartum e psicosi?
Il “baby blues” è un periodo successivo al parto caratterizzato da malinconia, ansia, irritabilità, cambiamenti di umore e stanchezza. Ma si tratta di alterazioni normali, che spariscono da sole in una decina di giorni senza alcun tipo di intervento.
Quando invece questi sintomi si presentano anche mesi dopo il parto, e perdurano nel tempo, allora si tratta di depressione. In questo stadio la disperazione, l’ansia e la malinconia possono essere talmente forti che la donna non riesce a sobbarcarsi il peso degli impegni quotidiani. Esiste poi una forma ancora più grave,chiamata psicosi postpartum. In questo stadio la donna soffre di allucinazioni che possono portarla a gesti inconsulti nei confronti di se stessa o del bambino. Qui è necessario l’immediato intervento medico.
“Tutto parla di te”. La Depressione Post Partum approda anche sul Grande Schermo
Che sia un argomento sempre più all’ordine del giorno lo conferma anche il fatto che il tema della Depressione Post Partum sia approdato anche sul grande Schermo.
Quanto è difficile rompere l’omertà sulla depressione post parto. Ci prova Alina Marazzi con il suo nuovo film “Tutto parla di te” nei cinema a partire da Giovedì 11 aprile.
Un film che palra di come ci si possa sentire sole e inadeguate. E di quanto faccia male scoprire che la maternità non è solo idillio. Torni a casa con il neonato e la festa non c’è. Spesso ci sono la fatica e la paura, qualche volta c’è il rifiuto e se nessuno ci dà una mano può calare il buio e, infine, la follia. Ma quanto è difficile ammettere, persino tra donne, di sentirsi una “cattiva madre”.
La depressione post parto colpisce una mamma su sette
Ma è davvero una questione così grave?
Sembrerebbe proprio che sì, Partorire oggi sia più difficile, e soprattutto più stressante. Secondo uno studio inglese la depressione post parto potrebbe addirittura colpire una mamma su sette. I dati raccolti in un anno di studio su 10mila neomamme, neomamme, ricoverate presso la Divisione di Ginecologia e Ostetricia dell’Ospedale di Pittsburgh, sono un po’ sconfortanti: su 7 nuove mamme una svilupperà probabilmente la depressione post parto.
Le partecipanti sono state seguite per un anno e oggetto di interviste telefoniche condotte a quattro e 6 settimane dopo il parto. «Abbiamo chiesto loro se erano state in grado di ridere e vedere il lato divertente delle cose – sottolinea la psichiatra Dorothy Sit nella nota Pittsburgh – Se avevano la capacità di guardare al futuro con gioia, anche se non è necessariamente colpa loro quando le cose vanno male. Se avevano sensazioni di ansia o preoccupazioni senza apparente motivo, o fossero spaventate o in preda al panico senza una buona ragione».
a seguito di visite a domicilio condotte più avanti nel tempo si è scoperto che molte donne presentavano sintomi depressivi piuttosto gravi. «Abbiamo scoperto che il 20 per cento [delle mamme] ha avuto pensieri di suicidio: pensieri di morte, di attendere di morire; non volersi svegliare, solo scappare – spiega Sit – In effetti, alcune pazienti con sintomi molto gravi aveva preso la decisione di togliersi la vita». Altri risultati mostrano che quasi il 22 per cento delle donne aveva sviluppato sintomi depressivi dopo un anno dalla nascita dei loro bambini.
Dietro allo sviluppo della depressione, secondo gli esperti, ci possono essere i cambiamenti ormonali e genetici che avvengono durante questo processo e periodo. Ma se alcuni sbalzi di umore possono essere normali, quando questi assumono connotati più persistenti, gravi e inquietanti, allora significa che c’è bisogno di aiuto.
Una rete di sostegno contro la depressione post–partum
In Italia, 1 donna su 10 soffre di depressione post partum e l’80% di baby blues, un malessere i cui sintomi sono stanchezza, disturbi del sonno e dell’alimentazione, difficoltà di concentrazione, tristezza e pianto.
Alla luce di questi dati, c’è anche chi, come l’istituzione Save the Children, cerca in qualche modo di correre ai ripari. Ecco dunque nascere, con lo slogan “Bambini si nasce, genitori si diventa”, il progetto “Fiocchi in ospedale” una vera e propria rete di sostegno e di solidarietà per neo mamme e neo papà nei primi mesi di vita del proprio bambino, realizzato grazie al sostegno di Gallerie Commerciali Italia con le sue 46 Gallerie Auchan dislocate in tutta Italia. L’intervento della durata di due anni ha l’obiettivo di accompagnare neo genitori, soprattutto in condizioni di particolare vulnerabilità, sociale e psicologica, creando attorno ad essi un ambiente sereno e forte, grazie al supporto e ai servizi per la cura dei primi importantissimi mesi di vita del bambino.
“La nascita di un figlio rappresenta per i genitori un’esperienza di profondo cambiamento, sia sul piano affettivo che personale, sia sul piano relazionale che sociale, a volte connotato dalle difficoltà della coppia genitoriale nell’adeguarsi al nuovo assetto. – ha dichiarato Valerio Neri, Direttore Generale di Save the Children Italia – Se a questo scenario si aggiungono difficoltà di tipo economico e psicologico della mamma o della coppia, la situazione si aggrava e le conseguenze per il bambino possono essere molto pesanti. Nei casi più gravi i disturbi della sfera relazionale mamma-bambino possono sfociare in violenze familiari e in alcuni casi in infanticidi. Secondo alcune stime, nel 90% dei casi di bambini uccisi sono le madri le responsabili e nell’80% degli episodi i minori sono uccisi in via preterintenzionale a causa delle forti percosse ricevute dai genitori. ”
“La percentuale di infertilità è calcolata intorno all’8% per le donne di 19-26 anni, 14% nelle donne tra 27 e 34 anni, ma oltre il 50% nelle donne con età superiore ai 40 anni. Nella procreazione assistita, il tasso di successo si riduce anch’esso fortemente con l’avanzare dell’età femminile. A 30 anni è mediamente del 30%, a 35 anni intorno al 24% e a 40 anni scende al 16%.” …
“La probabilità di concepimento varia in relazione all’età della donna. Fino ai 35 anni, essa è massima, ma dopo i 35 anni, la percentuale di donne in grado di concepire si riduce rapidamente. A 40 anni circa il 60% di donne sono ancora in grado di concepire, mentre a 45 questo tasso si è ridotto a meno del 10%.” …
“I problemi di concepimento nelle coppie sono più frequenti di quanto si pensi: in realtà però questi problemi, come sottolineato da una recente ricerca, vengono superati dal 50 % delle coppie negli anni immediatamente successivi e senza ricorso a terapie di alcun genere. Secondo i ginecologi inoltre, un anno è il periodo medio che serve ad una coppia per riuscire a concepire: non fatevi dunque prendere dal panico se dopo qualche mese non siete ancora incinta, è del tutto normale.” …
Questi sono solo alcuni degli asettici dati statistici che ti sarà capitato di leggere se, anche tu come me, sei passata attraverso il buio tunnel del “Ma perchè tutte restano incinta al primo colpo e io sono mesi – o anni – che provo inutilmente e non ci riesco???”
Qualche giorno fa sono stata a fare una visita di controllo ginecologica e, mentre parlavo con quella fata speciale di Dottoressa che, oltre ad avermi seguito durante tutta la gravidanza, ha salvato in extremis mia figlia e me, il giorno della sua complicata nascita.
Chiaccherando velocemente per cercare di aggiornarnci sulle novità degli ultimi mesi, volati velocemente via fra i mille impegni di entrambe, mentre ero seduta nell’ambulatorio dell’ospedale, all’improvviso ho visto scorrere davanti ai miei occhi tutta la mia lunga avventura incominciata ormai più di dieci anni fa per diventare mamma.
Ricordo come fosse ieri quando trascorrevo ore ed ore davanti al pc alla ricerca di risposte al quesito che stava diventando mese dopo mese sempre più ossessionante: “Con mio marito stiamo cercando di avere un bambino ma non riesco a restare incinta. Dopo quanto tempo devo cominciare a preoccuparmi? Qual è il primo passaggio da fare? Dobbiamo rivolgerci a un centro specializzato?”
Sapevo certo di non essere l’unica a farmi queste angosciate domande (prova ne era il fatto che su internet avevo sempre trovato fiumi di post e commenti di blog sull’argomento), ma non pensavo che la cosa fosse ancora tanto attuale.
La nostra fata-Dottoressa infatti, mentre le accennavo velocemente del mio progetto di questo blog, si è accesa improvvisamente tantissimo al pensiero che ci potesse essere qualcosa di scritto su questa mia storia, dal momento che, dice, a tutt’ora e sempre di più lei ha quotidianamente a che fare con donne preoccupate dallo stesso tipo di problema.
Perciò a questo punto è arrivato il momento di prendere il coraggio a due mani e aprire il sipario…
E’ con grande emozione – e un pò di tremarella – che mi decido finalmente a portare alla luce il mio manoscritto, rimasto nascosto nel cassetto durante questi ultimi 10 anni!
Ecco dunque a voi, mie care amiche mamme, aspiranti madri, mogli e in ogni caso magnifiche donne, la mia storia. Con la speranza che possa esservi di ispirazione e magari, perchè no, strapparvi qualche sorriso divertito .