Intervista a cura di Giulia Landini
1 – Erica ci fai una panoramica sul mondo del lavoro in Italia?
Il mercato del lavoro è cambiato tantissimo in tutto il mondo e da ben prima dell’arrivo della crisi. Ci sono moltissimi testi, autori e pensatori che – in America soprattutto – hanno scritto e dato spunti fondamentali per capire il nuovo mondo che era alle porte. Solo che noi in Italia, purtroppo come spesso accade, siamo arrivati con un ritardo a dir poco micidiale.
Quando ha cominciato ad arrivare anche in Italia l’effetto della crisi del 2009, erano già in corso da diversi decenni alcuni fenomeni di cambiamento importanti di cui noi eravamo completamente all’oscuro.
Parlo di quello che oggi viene chiamato il fenomeno dell’Industria 4.0, dell’Internet of Things, dei Business Media e di tutto quello che ha a che fare con gli strumenti tecnologici e informativi che fanno la differenza fra chi riesce a cavalcare il burrascoso mercato di oggi e chi invece resta crudelmente tagliato fuori.
Non sono un’economista né un sociologo perciò non mi sento la persona più adatta per fare una panoramica generale sul mondo del lavoro in Italia. Tantissimo si potrebbe scrivere in materia da punti di vista micro e macro economici, oltre che in termini di politica del lavoro.
Io, da ingegnere addetto ai lavori solo perché la vita professionale mi ha portata a farlo cercando di trovare un modo di ritornare in sella dopo il colpo basso della crisi, mi sento solo di osservare una grandissima impreparazione generale di fronte al nuovo mercato.
Se una volta era sufficiente prendere un titolo di studio e uscire sul mercato con quello, condire il tutto con un po’ di passaparola e qualche curriculum spedito ad amici e conoscenti, oggi tutto questo è completamente inutile.
Ne deriva una situazione che per molti è diventata incomprensibile, oltre che causa di grandissime preoccupazioni per il futuro proprio e dei propri figli.
Siamo la prima generazione da svariati decenni ad essere più poveri dei nostri genitori. E, a guardare il futuro con tutte le sue nuvole di internetizzazione, automazione, intelligenza artificiale, paesi emergenti con manodopera a costo praticamente nullo, immigrazione e politiche inadeguate, non c’è da aspettarsi molto di positivo.
Le aziende chiudono, delocalizzano, i piccoli paesi e le realtà che una volta facevano il tessuto forte dell’Italia con tutte le sue microimprese stanno piegando la testa in modo sempre più drammatico.
Nonostante questo quadro davvero terrificante, esiste però una buona notizia. L’ho trovata ragionando da ingegnere e sperimentandola, perciò ha una sua validità molto concreta e per niente teorica.
Il modo di cercare lavoro e di affrontare il mercato del lavoro è sempre stato inadeguato: laureati, scrivi curriculum, manda curriculum, aspetta che ti rispondano, lavora fino alla pensione è sempre stato un modello inadeguato. Solo che non ce ne accorgevamo perché tutto filava liscio. E, tutto sommato, era un modo comodo di procedere e di vivere. Senza scossoni, prevedibile e non troppo complicato.
Ma la realtà dei fatti – che all’estero è conosciuta da molto prima che noi – è che per affrontare il mercato globale e ipertecnologico servono competenze e abilità specifiche relative alla ricerca lavoro.
Proviamo solo a pensare al fatto che, per guidare un auto bisogna superare un esame di guida, in cui si studiano informazioni teoriche e pratiche. Nessuno si sogna, per il solo fatto di essere diventato 18enne, di salire su un auto e autoproclamarsi capace di guidare.
Eppure invece, per il lavoro si dà per scontato che sia così: per il solo fatto che arriva il momento in cui termini la scuola e dunque dovrai fare qualcosa della tua vita, si assume che tu sappia come fare a trovarti un lavoro.
La conseguenza di tutto questo è un grande messaggio di speranza, nonostante tutto: se ci si dà il tempo di acquisire le abilità specifiche relative al come si cerca, si trova (e anche si mantiene!) un lavoro oggi, allora tutto migliora notevolmente, in termini di prospettive, di guadagni e di soddisfazione personale.
2 – La precarietà degli ultimi anni ha portato a una riqualificazione delle proprie abilità ed esperienze, cosa ne pensi?
Personalmente penso che siamo ancora molto lontani, mediamente, ad una vera e positiva riqualificazione delle proprie abilità ed esperienze. Siamo a mio avviso ancora più nella fase del “Cavoli, il mondo del lavoro è sempre più impazzito, fare il mio lavoro non è più possibile (o non mi piace più), cos’altro potrei mettermi a fare?”
Allo stesso tempo, complice la diffusione di tantissimi strumenti, stili di vita, alternative energetiche, di crescita personale, di indagine spirituale, di terapie corporee e chi più ne ha più ne metta, molte persone confondono la propria propensione personale verso queste – meravigliose – possibilità, con una via per uscire dai guai professionali ed economici.
La realtà dei fatti mostra purtroppo che di queste “riqualificazioni”, a buon fine ce ne sono molto poche. Poche sono le persone che, pur facendosi forza di uno o più corsi specifici nel nuovo settore o disciplina, riescono realmente a farne una professione capace di farli guadagnare e sostituire il precedente lavoro.
Questo succede, di nuovo, per mancanza di una strategia chiara e definita e per l’assenza di conoscenza specifica in merito alle reali dinamiche del mercato.Di nuovo perciò, nonostante la situazione difficile (basta vedere il numero di partite iva chiuse dopo uno, massimo due anni dall’apertura), è sufficiente prendere consapevolezza che il problema sta nella strategia e dotarsi di strumenti adeguati.
3 – Nuove professioni si affacciano sul mondo del lavoro: ce le racconti? Quali le più diffuse e quali le più strane?
Oggi viviamo in un mercato del lavoro che si definisce ormai “liquido”. Ovvero un mercato che non ha più forma, che si muove osmoticamente come l’acqua, infilandosi ovunque. Entrare nel dettaglio di questo argomento richiederebbe svariate ore di approfondimento. Diciamo che, sapendo come fare, esiste il modo di far nascere il proprio futuro posto di lavoro partendo dall’analisi delle proprie caratteristiche e competenze, incrociandole con le reali esigenze del mercato.
Sono molto scettica verso coloro che si lanciano in proclami del tipo “La professione X è la nuova professione del futuro! Mentre la professione Y non porterà più da nessuna parte”.
Fatte salve alcune circostanze contingenti che rendono impossibile fare una data professione nello stesso modo in cui si è sempre fatta (si pensi ad esempio ai fotografi dopo l’avvento delle telecamere digitali), per tutto il resto esiste solo la capacità – o incapacità – di individuare esigenze di mercato, analizzare le proprie competenze e proporle in modo tale da suscitare interesse nelle aziende.
La complessità tecnica, gestionale, informativa che le aziende e ognuno di noi individualmente deve affrontare quotidianamente richiede un numero sempre maggiore di specialisti esperti e capaci. Persone duttili e dalla mente aperta, con la capacità di cercare problemi da risolvere.
Come dire che, per chi sa cercare non c’è limite a quello che si può trovare.
Quanto al fatto di professioni strane, personalmente consiglio di occuparsene solo quando si è convinti che peggio del proprio lavoro non ce ne siano… un breve giro su Google e, dopo aver scoperto il raccoglitore di escrementi di elefanti – giusto per dirne uno – il proprio noioso lavoro di ufficio o in fabbrica diventa improvvisamente più accettabile!
4- Cosa consiglieresti a un giovane?
Oh, ai giovani avrei tantissimi consigli da dare, perché purtroppo il sistema scolastico attuale non è assolutamente preparato né impostato per dare indicazioni utili – a livello professionale – ai nostri giovani.
Ho un giovane sedicenne in casa che, applicando quello che mi sente quotidianamente ripetere in merito, ha già ricevuto diverse offerte di lavoro e sta creandosi un futuro pieno di possibilità.
Da ex-genitore preoccupatissimo per il futuro professionale dei miei figli, essere arrivata al punto di aver trovato e aver potuto dare un set di informazioni e dati che lo mettono al sicuro da ogni futuro rischio di disoccupazione, mi fa sentire di aver investito molto bene tutti i miei sforzi e il mio impegno.
5 – Raccontaci del tuo metodo e del tuo libro nato da questo metodo.
Il mio metodo è figlio della crisi e di tutto quello che mi è capitato professionalmente dal momento in cui mi sono laureata in poi.
Inizialmente molto insoddisfatta e frustrata per il mio titolo di ingegnere preso solo perché “così sei sicura di trovare sempre lavoro” ho trascorso alcuni anni in giro per il mondo facendo la pianista e l’insegnante squattrinata, fino al punto di rinunciarci e cominciare una brillante – quanto insoddisfacente – carriera in azienda come ingegnere. Poi è arrivata la crisi e quel titolo che mi doveva assicurare di non perdere mai il lavoro risultò non essere sufficiente: ero rimasta senza lavoro esattamente come tutti gli altri.
Il segno di quella perdita è rimasto indelebile per anni: non solo non avevo fatto quello che volevo nella mia vita professionale, sacrificando le mie passioni per un guadagno, ma quel guadagno da un certo punto in poi non era più assicurato come mi era stato promesso.
Nonostante fossi ritornata in sella al mercato del lavoro, il terrore di ritrovarmi di nuovo in quella condizione mi aveva trasformato in una macchina-cerca-alternative. Ero ossessionata: di giorno lavoravo, di notte cercavo di capire come fare per assicurarmi un flusso costante e redditizio di lavoro a prescindere dalle condizioni del mercato.
E’ stato così che ho fatto conoscenza del marketing, del web, dell’info business e di tutta un’altra lunga serie di competenze e abilità di cui la maggior parte delle persone è purtroppo totalmente all’oscuro.
Mi è costato anni di studio e fatica (per non parlare del costo economico per studiare tutto quello di cui nessuno mi aveva mai parlato, nemmeno nella mia “famosa” facoltà di ingegneria elettronica). Strada facendo condividevo la sintesi di quello che avevo sperimentato su di me, ovviamente solo la parte che aveva funzionato!, e cominciai ad avere un certo numero di persone che mi chiedevano informazioni, aiuto e di condividere con loro la mia “spremuta” essenziale. Il problema era come trasmetterlo in modo organico, facile, efficace, concreto e rapido.
A quel punto vennero in aiuto i miei anni da consulente in azienda nei sistemi di gestione. Nel settore dell’Automotive dove avevo lavorato per tanti anni, era famoso il “sistema Toyota” messo a punto da un tale Prof. Deming, americano trapiantato in Giappone per una lunga storia.
Pensai che se quel sistema di strutturazione delle informazioni aveva permesso alla Toyota di mettere k.o. la Ford del dopo guerra e la sua incontrastata supremazia nel settore della costruzione di automobili, valeva la pena provare ad adattarlo ai miei scopi.
L’innesto è riuscito felicemente ed è nato il Sistema C.R.E.E.A. di cui parlo e spiego nel dettaglio nel mio libro “LAVORO! Un lavoro che vale per una vita che vale”.
Del libro, dei corsi che tengo e di tanti contenuti gratuiti che ho creato per aiutare a divulgare queste informzioni per poter riportare la speranza a quante più persone possibile, è possibile sapere di più sul mio sito www.lavoroecarriera.it
In conclusione, l’ho detto più volte ma desidero ripeterlo perché è il concetto per me più importante:
la speranza non è una strategia efficace. Le cose non andranno meglio perché lo si spera. Ma nel momento in cui si comprende che anche tutto ciò che gravita attorno al mondo del lavoro (come si trova, come si cerca, come si cambia, come si tiene, come si migliora, ecc.) è qualcosa che si può apprendere e studiare, allora è più che giusto sentirsi speranzosi e fiduciosi: è solo questione di tempo, ma i risultati arriveranno.