“Noi esseri umani siamo bellissimi, ma spesso, chissà perché, tendiamo a dimenticarcene.”
Non conoscevo Ezio Bosso fino a questa mattina, quando il mio feed di Facebook si è all’improvviso popolato di video tutti simili uno all’altro che rimandavano al Festival di Sanremo. Ho smesso da tempo di seguire Sanremo e stavo per ignorare bellamente anche questa serie di post, quando qualcosa della pianista che è rimasta in me ha vinto e mi ha fatto cliccare play su uno di questi video.
Mi sono commossa e ho pianto. Certo, sono una donna e come tale sono di commozione facile. Ma in questo caso ci stava tutta: ho studiato pianoforte per 20 anni e so cosa significa studiare e allenarsi ore e ore, cercando di far andare insieme due mani, due piedi, più testa e cuore e convincerli a far uscire qualcosa che non sia un’accozzaglia di suoni fastidiosi!
Vedere dunque quest’uomo passare dalla fatica di mettere insieme le parole, al trasfigurarsi e riuscire a suonare un pezzo con maestria e cuore, mi ha veramente emozionata.
Mi ha emozionata e, ancora una volta, mi ha ricordato quanto piccole sono le scuse che troppo speso ci raccontiamo sul perchè non stiamo riuscendo a realizzare i nostri sogni!
Come mio solito, ho subito cercato di scoprire di più della storia di quest’uomo e quello che ho trovato mi ha fatto ancora di più venire i brividi.
Perchè la disabilità di Ezio Bosso non è solo una questione congenita, il che già sarebbe stato difficile da accettare ed integrare, ma è stata peggiorata da una malattia avuta in età tutto sommato recente.
Su un vecchio articolo di La Stampa, si legge: “Nel 2011 Bosso ha subito un intervento al cervello che – parole sue – l’ha costretto ad affrontare una «storia di buio». E la malattia si è aggiunta a una sindrome autoimmune che lo costringe a camminare con l’aiuto di un bastone. Lentamente, con grandi sofferenze e molte gioie, grazie agli amici e alla maturità («Se tutto questo fosse accaduto dieci anni fa, probabilmente non sarei qui a raccontarlo», dice lui), ha riconquistato «la coordinazione tra corpo e mente necessaria per tornare al pianoforte».”
Il che, appunto, mi rende ancora più deferente e ammirata del coraggio di quest’uomo, che ha avuto la forza di rimettere insieme i suoi pezzi, senza darsi scuse e senza perdere tempo a lamentarsi.